L’Associazione WG ART fino al 21 aprile presenta alla Sala Veratti dei Musei Civici di Varese, nel refettorio dell’ex convento di Sant’Antonio, la mostra “Leftovers. Ciò che resta”.
Gli artisti invitati a riflettere sul tema sono Sofia Cassina, Giacomo De Giorgi, Gianmarco Erba, Francesco Ibba e Argiris Rallias. La mostra sul concetto di frammento, scarto, avanzo è curata da Gaia Ferrini.
Il titolo di questa mostra fa venire in mente "Vite di scarto" il saggio del sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman che riflettendo sui prodotti e i consumi della società odierna li definisce “…tutti quelli che non sono fatti per durare”. O forse, non sono progettati e costruiti per servirci a lungo.
Dunque, frammenti di un tutto nuovo che arriverà per servirci meglio e di una parte vecchia che diverrà automaticamente scarto. Tutti gli oggetti che ci circondano sono a breve termine avvisa il sociologo, perché nel giro di poche settimane al massimo qualche mese, tutt’al più un anno, per rimanere al passo coi tempi, le tecnologie e i nuovi servizi offerti, noi dobbiamo (e siamo costretti) a sostituirli.
E quest’ultimo, il nuovo servizio, unitamente all’offerta vantaggiosa è il motivo per cui non sappiamo più rinunciare ai modelli proposti, agli optional, alle funzioni aggiuntive, a quell’estetica più accattivante della precedente. Un cellulare, un pc, una lavatrice, un frigoroifero, un'auto oggi appartengono a un’ economia dove impera la logica delle offerte vantaggiose, della data di scadenza, dell'estetica trendy.
Gli oggetti che utilizziamo camminano più velocemente dei loro progenitori e sono sempre pronti a innestarsi su basi in Progress con applicazioni che se non attivi resti indietro, non cammini, non lavi, non guidi, non chatti e non hai quell’ulteriore servizio migliore più avanzato del precedente e del quale ti chiedi: come si fa a farne a meno? Come dire, il vecchio, il progenitore, va scartato, eliminato per far posto al nuovo, al giovane.
E i vecchi modelli diventano rifiuti, simboli e segni troppo presto consumati dall’accellerazione della nostra economia moderna finché - osserva il filosofo - quest’idea di velocità delle cose e di rifiuto del vecchio non lo applichiamo all’essere umano, in una società che è condotta inevitabilmente a definire coloro che non possono più essere impiegati in nessun modo nell’ambito produttivo, lo scarto umano.
Nella mostra la riflessione sul concetto di scarto si fa ancora più profonda, dura, cruda e allo stesso tempo poetica, conduce il visitatore in un'ampia idea di scarto partendo dalla materia ( o materia d’arte) utilizzata per esplorare l'dea stessa di frammento.
Nell’opera Prìka di Argiris Rallias l’artista arriva sino a uno scarto memorico in marmo scolpito, un'opera fragile, pensata sulla base di un lavoro all’uncinetto, appunto a uno scarto del tempo al femminile che fu, proposto in marmo.
Tutti gli artisti coinvolti sembrano avvisarci: che cos’è scarto? Perché rifletterci? Forse perché facciamo ancora in tempo, può servire a cambiare le cose, a favorire un’idea altro di frammento. A ipotizzare e sognare nuovi mosaici sociali, insieme di idee, comportamenti, abitudini che partendo dal frammento, dal piccolo, possono arrivare a comporre un Grande. In mostra troviamo lo studio del Laocoonte di Gianmarco Erba, l’opera Ir-requiem di Giacomo De Giorgi, quella di Sofia Cassina, Hydrocéphale di Francesco Ibba. In tutte queste opere lo scarto diventa emblematica chiave di lettura che ci fa prendere coscienza di ciò è un frammento e di ciò che siamo diventati, di come transitare verso un Altro (sociale) con una nuova consapevolezza che rinvia persino a quell’ antichissima pratica del Kintsugi.
C’è una metafora molto attuale dietro al concetto di scarto, un insegnamento in mostra, un’ iindicazione: e cioè che si può ridisegnare una nuova vita partendo da un piccolo frammento, nobilitandolo, facendolo diventare altro, e’ in fondo è un modo per dirci che si può ripartire.