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IL MUSEO CHE CUSTODISCE LE BAMBOLE ETERNE

2023-05-24 06:36

MARIANO SCARDINO

Culture,

IL MUSEO CHE CUSTODISCE LE BAMBOLE ETERNE

NON SOLO BARBIE. NELLE TERRE BORROMEO, IL MUSEO DELLA BAMBOLA NE FA SCOPRIRE IL VALORE PEDAGOGICO

 

 

 

 

Il Museo della Bambola e del Giocattolo delle Terre Borromeo ci fa riflettere prima di tutto sul perché la bambola non sia solo un giocattolo. 

 

Per come l’abbiamo conosciuta, la bambola sembra essere scomparsa dal mondo dei giocattoli, tanto quanto  il disincanto di antica memoria weberiana dalla nostra vita. 

 

Però questo disincanto è tutto raccolto nelle sedici sale del Museo della bambola e del giocattolo di Angera, forse il più grande museo in Europa,  nella Rocca Borromea. 

 

Qui troviamo bambole d’ogni epoca, giocattoli ed automi meccanici.

 

Le bambole, sembra superfluo dirlo, in queste sedici sale, esaltano sentimenti di tenerezza e protezione a chiunque e ad ogni età, a bambini e adulti, collezionisti e appassionati.

 

Queste sedici sale stipate di creaturine ci fanno riflettere sul gioco in sé. Il gioco è più vecchio della cultura. 

 

La cultura nasce con la convivenza fra uomini organizzati in gruppi e società, ed è “moderna” (si fa per dire). Il gioco nasce in ognuno, a ogni età, spontaneamente, isolatamente. Talvolta solitario scegliendo di giocare in gruppo. 

 

Giocare e’ dunque un’esigenza dell’attività umana primordiale, più “antica” della cultura. E' atavico, come inventarsi con poco il tutto, grazie al dono dell’immaginazione. Quando interviene un mezzo che si chiama  bambola le regole del gioco e dell’immaginazione cambiano.

 

Il medium bambola diventa un potente strumento educativo che da manufatto ludico aiuta a costruire le nostre identità, a favorirne la nascita esplorandole, a nutrire la nostra immaginazione e a correggere raptus emotivi. 

 

Il museo delle Terre Borromeo raccoglie un mondo in miniatura di oggetti che difficilmente può tradursi in parole.

 

Soltanto visitandolo si può capire il fascino e l’importanza di queste raccolte. Le  collezioni che hanno accompagnato  l’uomo nella sua evoluzione, a iniziare da quella spirituale, nella sua peculiare crescita evolutiva. Nei suoi linguaggi artistici, estetici, formali, pedagogici, educativi, mischiando tante culture del mondo, etnie differenti (bellissima la Sezione Internazionale) fatte di appartenenze, epoche, usi, costumi, abitudini di tante società umane.

 

E’ in questo luogo che vediamo la bambola rappresentare il segno forte della maternità fisica e spirituale per eccellenza.  Non solo lo sviluppo tecnico e progettuale dell’oggetto in sé. 

 

Dalle grandi fabbriche di bambole europee, che nascono nel XIX e XX secolo con oggetti di altissima qualità, si arriva fino alla seconda guerra mondiale.

 

Una società nuova, radicalmente  cambiata nel gusto, nell’educazione dell’infanzia, nello stile di vita. Tutto ciò si  coglie attraverso i manufatti ludici, le tipologie di giochi e i giocattoli in mostra.

 

Per Platone lo scopo dell’educazione (relativa al gioco) era conseguire «una equilibrata formazione, la quale, usando come strumento il gioco, in prospettiva conduca l’anima dell’adolescente soprattutto   verso   l’amore   di   quelle   abilità   tecniche   di   cui,   fattosi adulto, dovràavere piena padronanza”. 

 

I moralisti medievali fecero riferimento alla dannosità del gioco soprattutto per i bambini, visto che sono per loro natura inclini all’esagerazione, agli eccessi, al disordine.   

 

Eco  nel Nome della rosa riprenderà questo tema introducendo la sinistra, centrale, figura di Jorge da Burgos che  dirà: “Il riso uccide la paura, e senza la paura non ci può essere la fede”

 

Solo chi come L'abate Jorge  ha paura  può avere fede. E solo chi ha paura è al corrente di tutti i segreti della fede. Come lo stesso abate, che conosce tutti i libri della biblioteca inventata dallo scrittore, e custodisce e protegge il sapere e il mistero del sorriso. 

 

Ma dove c’è gioco, c’è sempre il riso, non c’è mai paura.

 

Giocare nel medioevo non era conoscenza. Certo si poteva giocare, ma a patto che prevalesse la moderazione. Come suggerivano i monaci del romanzo sotto la guida dell’abate Jorge. 

 

Nel medioevo e nel Cristianesimo le bambole venivano frequentemente vietate. 

 

Basta rileggere i tanti provvedimenti emanati dalla Chiesa e dai legislatori laici, contro feste, tornei, giochi d’azzardo. Già dal primo Medioevo fino al secolo XIII il programma pedagogico adottato sembrava aver cancellato per sempre l’idea romana dell’otium e del gioco. Mala tempora currunt.

 

Ci si risolleva tornando al museo, fra bambole fabbricate in materiali primari, come quelle del XVIII secolo in legno scolpito, modellini tra religiosità e gioco, per arrivare  a quelle industriali  in cartapesta modellata, con  teste già seriali, e poi quelle in cera lavorata da abili artigiani. 

 

C’è un punto di snodo che si scioglie al museo di Angera, quando le bambole, cambiarono radicalmente estetica con l’impiego della porcellana e del biscuit.

 

 Furono le ditte parigine di Jumeau, Bru Steiner, Gaultier, Thriller a produrre in serie le più belle, ancora oggi le più ambite sul mercato dell’antiquariato. 

 

Rarità assolute. Come la bambola di Albert Marque, prodotta in solo in cento esemplari numerati.

 

In questo museo per un attimo lasciamo da parte la bambola più famosa del mondo, quella perfetta. La celeberrima Barbie, l’american dream in formato incellophanato sogno di tutte le bambine del mondo. 

 

Quella  perfetta  - anche troppo - con le gambe forse un un po' troppo lunghe (c’è chi ne ha studiato e criticato anche le proporzioni, in scala) con le braccia troppo perennemente rigide a L. 

 

Quella che 50 famosi stilisti, per i suoi 50 anni, l’hanno celebrata vestendola di un abito feticcio della loro maison. 

 

Quella del film che la rievoca umana e stereotipo, che in tante Limited edition riprende le sembianze delle top model più cool, delle attrici più brave, delle donne di scienza più importanti, dei premi Nobel. 

 

La Barbie africana, cinese, indiana. Col suo nome e cognome: la Barbie Mattel, declinata in tantissime (spesso brutte) copie e imitazioni, a iniziare dalle vintage rieditate. 

 

La bambola che ha una stilista tutta per lei, Carol Spencer, che da tempo pubblicitario immemore intrattiene operazioni di co-marketing e proficue collaborazioni con i marchi di moda e design in tutto il mondo. 

 

La Barbie fidanzata di Ken, che tutti sappiamo più alto di Big Jim, e che proprio questa altezza mancata all’eroe di Kung fu, in realtà, non ce lo ha mai reso credibile come fidanzato della nostra Barbie: troppo basso! E’ più alto Ken.

 

Al museo della Bambola della Rocca Borromeo tutto questo per un attimo svanisce, soprattutto quando ci imbattiamo ne Gli artificiosi e curiosi moti spirituali di Herrone, tale Herrone di Alessandria. 

 

E’ nel suo libro che troviamo i primi automi al mondo, 80 figure tecniche su legno, dai più semplici ai più complessi. 

 

La raccolta è di quelle che fa immaginare un’epoca a. B. avanti Barbie e d. B. dopo Barbie. 

 

Herrone e’ un ingegnere e meccanico del I secolo d.C. e ciò che ha lasciato è una raccolta di assemblaggi tecnici, attribuitigli come  i primi documenti  conosciuti al mondo sugli automi. E siamo soltanto nel primo secolo dopo Cristo. 

 

Nel 1774 i protagonisti significativi - per sommi capi, della storia delle bambole e degli automi - sono The Writer, The Draughtsman e The Musician, automi progettati e realizzati da Jaquet-Droz et Leschot che li immettono sul mercato delle meraviglie, ideandoli fra poesia e progetto. 

 

Chi sono i due progettisti? 

 

Sono raffinati e sofisticati artigiani orologiai che col passar degli anni hanno creato automi sempre più belli, sorprendenti e perfetti. Sono coloro che hanno inventato tre androidi e li hanno presentati a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, nel Canton Neuchâtel.

 

La favola e la fama di questi artigiani orologiai creatori di automi, si muove fra Oriente e Occidente; padre e figlio hanno realizzato tre autentici capolavori che stupiscono il mondo. 

 

I loro automi viaggeranno per approdare a Ginevra, nel 1775 a Parigi alla corte e al cospetto di Luigi XVI e Maria Antonietta, nella Francia settentrionale e in tutte le più importanti corti europee, a Londra, in Olanda, nelle Fiandre. Nel 1784 a Lione e poi alla corte di Russia, a Kazan e dopo a Madrid.

 

Pierre Jaquet-Droz esporterà in Cina (in 10 anni) 600 pezzi che appassioneranno persino l'imperatore Qianlong. 

 

L’artigiano reinterpreta orologi meccanici, automi, tabacchiere, pendole, uccelli canori (la sua vera passione) pezzi che saranno venduti soprattutto in Cina.

 

Siamo nel Settecento,  il secolo delle “creaturine” quel mondo in miniatura che ospita copie di persone e animali, di vita reale tradotta in latta, oro, pietre preziose, alchimie di metalli e meccanismi tecnici sofisticatissimi; un secolo che sembra regolare come gli automi pochi gesti significativi, rituali dell’uomo ricco e nobile dedicato al capriccio.

 

 Un mondo in miniatura che esplode per stupire e rallegrare  le corti con i loro ospiti annoiati, re e regine nelle loro dimore festaiole e sontuose, dove abili artigiani sognatori realizzano a mano tutti i singoli pezzi dedicati alla dea Meraviglia: piccoli- grandi prodigi del bello superfluo e di tecnica abilissima. 

 

Spesso in copia in Rocca Borromeo questo museo delle meraviglie regala uno spaccato di tecnica e creatività umana fra arte, artigianato, poesia e progetto. 

 

Artigiani  che sono orologiai e che per gli automi si inventano complicati circuiti pneumatici, soffi di vita attorno a un ciclo di musica meccanica che fa muovere e  vibrare piccole mani di metallo; automi che  seguono spartiti, che scrivono una lettera persino scegliendo fra 40 caratteri, e c’è anche un automa scacchista che leggenda vuole abbia fatto perdere una partita persino a Napoleone.

 

Ci sono anche gli androidi della storia del cinema, i robot di Isac Asimov, le creature di Blade Runner, e i replicanti che ci somigliano sin troppo.

 

Ma c’è anche un mondo in rosa, per eccellenza il colore delle bambole.  

 

La rappresentazione più nitida della fanciullezza giocata con bamboline agghindate da merletti, abitini della nonna, pizzi e ricami dal candore rosa confetto e intoccabile bianco innocente, delicata. 

 

Come quel mondo che tanto piace a  Mary Fisher in She Devil, Lei il Diavolo, la commedia del 1989 diretta da Susan Seidelman dove il tutto (e in primis costumi e arredi) è presentato in salsa Pink Lady Dolls che contribuisce a fissare una struttura scenografica ed estetica di quel capolavoro di commedia americana come mai il cinema d’oltreoceano ci abbia regalato. 

 

La vera crisi di ispirazione della protagonista del film (Meryl Streep nel ruolo di Mary Fisher, una  scrittrice di romanzi rosa) arriva con la pubblicazione, guarda caso, di un “Amore al risciacquo” titolo inappropriato a una scrittrice di successo, vera Pink Lady. 

 

Titolo  che spezzerà l’incantesimo della vita professionale  precedentemente  costellata di successi, coi romanzetti rosa, lievi e delicati come un bambola, che l’hanno resa celebre. 

 

Quel nuovo, ultimo titolo del romanzo, cancellerà per sempre il candore rosa costruito con abilità artigiana e certosina, parola dopo parola, da Mary Fisher. 

 

Da quel momento in poi si scatenerà la parte di una grandiosa Meryl Streep che rimarrà nella memoria di tutti insuperabile. La Lady doll  per eccelleza diverrà una New Noir Lady. 


 

Museo della Bambola e del Giocattolo 

Via Rocca Castello, 2

Angera, Varese

0323 933478

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